FRANCO GARELLI


Notizie biografiche Franco Garelli: scultore del proprio tempo
di Piergiorgio Dragone
Franco Garelli
di Enrico Crispolti

Dagli esordi all'Informale

Ogni opera di Franco Garelli è anche una pagina di diario, l'espressione cioè di un modo d'essere e di operare, di un pensiero attivo e fervidissimo. Dietro l'artista c'è dunque l'uomo non meno indomabile, non meno curioso del mondo, non meno avido di futuro. In tal senso Garelli, sia pur alla lontana, è un erede della sensibilità avanguardistica, sperimentale, "trasformista", dei futuristi.

Già nel 1949, in occasione di una conversazione tenuta alla galleria La Bussola sul tema "Dipingere oggi", Garelli citava Morlotti adottandone una frase programmatica: « ...Non vogliamo ripiegare e rivivere secondo antiche dogmatiche oppure ripetere sterilmente i sentimenti culturalistici di una tradizione come uomini privi di potenze generative. Non certo un facile ottimismo, ma una profonda, critica fiducia hanno schiuso nuovi orizzonti, che ci affascinano. Come Ulisse perseguiremo l'esplorazioni anche se queste non avessero mai fine.» Di fatto i due artisti differivano e, per molti aspetti, erano personalità opposte. Meditativo, solitario, pessimista Morlotti. Attivista, estroverso, ottimista Garelli. Ma quello che della dichiarazione di Morlotti fin da allora più interessava a Garelli, era il paragone con Ulisse. Personaggio per lui emblematico come ebbe ad ammettere in più occasioni e come ricorda Enrico Crispolti nella prima edizione della sua fondamentale monografia(1): «Ancora oggi Garelli mi dice di preferire Ulisse a Michelangelo». Pragmatico, portato all'azione, morso da una "inquietudine attivistica", attratto dall'inedito, Garelli senti come una condizione da superare e, in certa misura, da far dimenticare, la propria partenza irregolare, di outsider. Medico di valore e di successo dovette ad un certo punto optare per l'arte, tuttavia questa scelta a lungo procrastinata, divenne poi motivo di orgoglio, la consapevolezza cioè di possedere al proprio attivo qualità e conoscenze altre, di essere un riuscito esempio di osmosi tra quelle che allora si chiamavano 1e due culture" e sulle quali ferveva un animato dibattito a fini appunto conciliativi. Certo dall'essere scienziato e medico gli veniva quella sua umanità generosa, tutta verificata sul concreto ed il bisogno di indirizzare la ricerca verso un mondo organico. Più specificatamente, come rilevava Renzo Guasco, che fu tra i suoi critici più tempestivi ed acuti, la conoscenza profonda dell'anatomia, materia che da studente prediligeva, fece si che la sua scultura fosse sostenuta da una sorta di "anatomia analogica". Anche nella fase apparentemente più astratta Garelli non dimenticò mai le regole del corpo umano, sicché in lui spesso «il filo di ferro è nervo, tendine, arteria; quel traliccio, quasi una siepe di canne, è cassa toracica, ma è insieme pura invenzione formale»(2). Proprio questa concomitanza di elementi, biografici, caratteriali e culturali, concorsero a fare di Garelli uno degli artisti che in maniera più appassionata e convincente, elaborarono negli anni Cinquanta quelle "nuove immagini dell'uomo" che, sul finire della decade, Peter Selz radunerà e classificherà in una memorabile mostra al Moma(3). Ricordo che recensendo l'avvenimento scrivevo: «L'immagine dell'uomo, via via, inventariata, oltraggiata, sezionata, traslata in oscuri simboli e, infine, annullata dai vari istmi dell'arte contemporanea, risorge. Risorge con fatica, con dolore, dal groviglio dei segni, dal magma della materia, dal gesto sfrenato, dall'urlo del colore... E' un'immagine necessaria per non cedere ad un'incombente dissoluzione, per non cadere in una nuova estetica alessandrina... »(4). Antefatti e modelli di queste "nuove immagini" erano per me Dubuffet, De Kooning e Bacon, mentre tra i più giovani citavo Saura. Ma torniamo al nostro artista.

La cosiddetta preistoria di Garelli è, a ben vedere, già una storia. Ed oggi che le barricate precarie e artificiose tra figurazione e nonfigurazione e tra tante tendenze, sono in parte crollate (e se ne ha un clamoroso esempio con la mostra curata da Jean Clair a Palazzo Grassi nell'ambito della Biennale), la prima produzione di Garelli non solo non va sottovalutata rispetto a quella del periodo astratto-informale e del successivo che per l'insistenza oggettuale è stato classificato nell'area neodada e pop, ma all'opposto assume una rilevante importanza.

L'esordio è precoce: nel 1927 a soli diciotto anni, Garelli partecipa ad una rassegna della Promotrice di Belle Arti. Tuttavia il vero impatto con l'arte contemporanea avviene tra il 1932 e il 1933 frequentando il gruppo dei "secondi futuristi": Oriani, Fillia e soprattutto Mino Rosso. Nello stesso periodo conosce Marinetti e Spazzapan il cui influsso appare evidente in alcune gouaches del '38. Giunto a Torino alla fine degli anni Venti, amico di Persico e stimato da Venturi, Spazzapan era del resto allora un sicuro riferimento per molti giovani che lo "preferivano" al più classico e tradizionale Casorati. Laureatosi in medicina Garelli parte per
l'Africa Orientale arruolato nel 5° Artiglieria da Montagna. Ma anche al fronte seguita a disegnare. "Appunti in A.O." s'intitola la sua prima personale promossa dal Guf ed allestita nel salone dell'esposizione della stampa" con la presentazione di Piero -Stampini. Marziano
Bernardi che la recensisce con molta partecipazione, mette a fuoco le componenti fondamentali dell'artista combattente": « ... Pronta percezione della veduta, sicurezza del segno, bellissimo senso del movimento, grande semplicità di espressioni... Lo studio dell'anatomia non ha solo insegnato a Garelli la forma del corpo umano: gli ha dato il gusto più complesso e più prezioso - della forma pittorica in genere, anche nell'affrettata, fulminea stesura di un'impressione... Bella è questa compiutezza, questa compenetrazione dell'uomo con l'artista, che annota sotto il suo disegno: 'Ore 5, prima dell'avanzata'» (5).

Nel 1940 ad Albisola Garelli conosce Arturo Martini. Un incontro importante la cui influenza non è stata forse fino ad ora sufficientemente valutata e che affiora in opere di una semplicità di linee che ne accentuano la solennità quasi monumentale. Ma ancora prima (inizio anni Trenta) in alcune terrecotte (andate disperse), gigantesche ed interamente vuote, che in seguito ribattezzò "endostrutture" ad indicare una possibile, remota ascendenza con le sue teorie delI'"endospazio", aveva usato la tecnica di Martini di modellare dall'interno. 1 muscoli, racconta Martini nei Colloqui, li facevo di dentro per spinta. E mi nascevano miracolosamente come i greci. Non solo: io potevo anche non tener conto della posizione dei muscoli, perché tutto quello che veniva spinto, magicamente funzionava come natura, operava come un lievito. Ecco la semplicità greca". Proprio questo senso di lievitazione armoniosa si ritrova, a tratti, nelle ceramiche di Garelli fino al 1948-50 sia pure all'apparenza più affini, anche per la insistita tematica dei "cavalli" e "cavalieri", degli "uomini" e "pomone" a quelle di Marino Marini. Ma si tratta piuttosto di un dare ed avere come ben lascia intendere Angelo Dragone: «Marino iniziò a graffire la figurazione sulla carta soltanto dopo averne vista un'intera progenie nello studio di Garelli» (6).

L'immediato dopoguerra fu a Torino particolarmente vivace, carico non solo di speranze e fermenti, ma di iniziative subito di livello internazionale che si manifestavano parallelamente nel teatro e nel cinema, nell'arte e nell'editoria. Basti ricordare l'itinerante "Arte francese d'oggi" curata dall'autorevole René Huyghe, che in certo modo preannunciò le rassegne di 'Trancia Italia" protrattasi dal 1951 al 1961 e l'importante "Premio Torino" al quale Garelli partecipò fin dalla prima edizione e che fu per lui il trampolino per successivi inviti alla Quadriennale e alle Biennali del '48 e del '50. In quello stesso breve giro di anni consacrati prevalentemente alla ceramica, Garelli ad Albisola stringe amicizia con Fontana, Tullio Mazzotti, Agenore Fabbri, e quindi con i componenti di Cobra: Jorn, Appel, Corneille, che nella cittadina ligure trascorrevano lunghi periodi di intenso lavoro. Altro punto di scambi era poi per tutti il Laboratorio Sperimentale ad Alba, animato da Pinot Gallizio, un altro geniale outsider.

Agli inizi degli anni Cinquanta Garelli sperimenta una tecnica per lui inedita, la fusione in bronzo. Un più radicale mutamento avviene nel '54 allorché comincia ad amalgamare alla creta elementi spuri ed occasionali: chiodi, fili di ferro, piccoli manufatti, spaghi. Convincenti risultati sono un gruppo di ceramiche smaltate. Per la forma a spirale e l'alternanza di curve e spigoli, di scattanti linee forza e sinuosità ondose, queste opere evocano alla lontana l'immaginifico barocco dei campanili borrominiani, e sebbene ancora battezzate "teste" e "figure", si configurano come piccoli trofei ad un tempo barbarici e raffinatissimi. Ormai rifiutato il modellato del "pollice" e le lusinghe più sensuose della pittura, Garelli applica le nuove esperienze alla scultura, assemblando frammenti meccanici, spezzoni ferrosi, lamiere, per lo più scarti di fabbriche di automobili, il cui reperimento assume spesso il carattere di una caccia avventurosa e febbrile ove la casualità e l'azzardo si alternano ad una precisa istanza progettuale. Anche là dove le sculture possono apparire più spurie, informi, maggiormente legate all'occasionalità dei materiali, Garelli non rinuncia infatti mai alla sua intima, quasi genetica, concezione strutturale dell'opera, concezione che ribadisce tanto insistendo di proposito sul termine "figura", quanto precisando l'importanza che il dialettico alternarsi di vuoti e di pieni hanno nella identificazione di una immagine che ha sempre un referente, sia pure dilapidato ed estremo, nel corpo umano. In tal senso Garelli, per il quale opportunamente Michele Tapié parla di l'antropomorfismo", non è almeno sino alle soglie degli anni Sessanta, apparentabile né all'Informale, caratterizzato dal rifiuto appunto della forma, né al Neodada ed alla Pop. I suoi antefatti sono piuttosto da ricercarsi nei grandi pionieri della scultura in metallo: Gargallo, González, Picasso. Esempi mirabili di questo periodo, forse il più felice di Garelli, sono: "Ulisse" del 1955 e 1l guardiano del faro" del 1959, prediletto anche da Werner Hofmann che lo inserì nel suo conosciutissimo 'compendio sulla "Scultura del XX-Secolo". In questi ferri saldati l'asprezza delle lamine taglienti e puntute, ed il vigore delle immagini non scadono mai in un espressionismo inquietante ed accusatorio mediati, come sono, dall'armonia di una struttura compositiva immune da pesantezze, ingorghi, eccessivi indugi materici. Tutto alita, vibra, vive di una bellezza violata ma restituita.

Lorenza Trucchi
Luglio 1995

(1) Enrico Crispolti: Franco Garelli, Edizioni Minerva Artistica, Torino 1966.
(2) Renzo Guasco: Notizie, Marzo 1957.
(3) Peter Selz: New Images of Man. Museum of Modern Art, New York, inverno 1959-60.
(4) Lorenza Trucchi: L'Europa Letteraria, Marzo 1960.
(5) Marziano Bernardi: La Stampa, 23 Giugno 1936.
(6) Angelo Dragone: Garelli terrecotte e ceramiche, Galleria Pirra, ceramiche, Marzo-Aprile 1982.